È sempre colpa del consulente fiscale?
Il titolare di una ditta individuale di lavori edili, dai risultati economici piuttosto soddisfacenti - negli ultimi esercizi vanta un utile di circa euro 20.000 annui - si trova improvvisamente a dover fronteggiare un debito di circa euro 20.000 nei confronti del fisco, maturato nel corso dei precedenti quattro anni a seguito di disguidi intercorsi con il proprio consulente fiscale.
Oltre a tali debiti fiscali, si evidenzia uno sconfinamento sul fido bancario concesso alla ditta di circa euro 2.000 nonché un'esposizione di circa euro 1.500 per la concessione di una carta di credito.
Per quanto riguarda la situazione patrimoniale della famiglia, composta da moglie casalinga e tre figli, solo uno di essi è titolare di un reddito proprio.
I coniugi risultano inoltre proprietari di un piccolo immobile, per l'acquisto del quale sono impegnati con rate di mutuo di circa euro 450 mensili.
In accordo con la banca presso cui si appoggia la ditta, si stabilisce di concedere un prestito, garantito all'80% dalla Fondazione Anti Usura CRT, di euro 24.000 per saldare i debiti fiscali, rientrare dello sconfinamento e azzerare la carta di credito, a una duplice condizione:
che la carta di credito venga immediatamente ritirata e annullata;
che lo stipendio del figlio, chiamato a prestare garanzia, venga canalizzato sul medesimo conto corrente della ditta paterna.
Si decide viceversa di lasciare in essere il finanziamento concesso due anni prima da una banca per l'esercizio dell'attività, il cui debito residuo ammonta a circa euro 18.000, con rate mensili di euro 450 sempre regolarmente onorate.
Nel complesso gli impegni mensili della famiglia vengono aumentati di circa euro 400 mensili, ma attraverso il ritiro della carta di credito si riduce la possibilità potenziale di indebitamento del nucleo familiare, maggiormente responsabilizzato anche dal coinvolgimento del figlio maggiore nell'operazione.